PROLOGO: Terra Selvaggia, Antartide

 

La Terra Selvaggia era l’idea di un ecosistema artificiale destinato a preservare la biodiversità del periodo giurassico. La sua esistenza era frutto della tecnologia degli imperscrutabili Arcani.

Anche quando i ghiacci trasformarono l’Antartide in un deserto bianco, sotto il suo gelo la Terra Selvaggia sopravvisse. La sua flora e la sua fauna mutarono, subirono gradatamente sempre nuove aggiunte, così come subì diversi traumi.

Se gli scienziati avessero libero accesso a questo mondo ancora sconosciuto alla maggior parte della gente, svariate branche delle scienze naturalistiche subirebbero la loro rivoluzione copernicana.

Ma la Terra Selvaggia non è un luogo da esplorazione, o da turismo. Ha subito complessivamente poche visite nel corso della sua esistenza. Alcune hanno lasciato un segno, altre no.

Recentemente, questa oasi tra i ghiacci ha visto l’aggiunta di una nuova specie.

Si facevano chiamare semplicemente ‘il Popolo’. Vivevano nel mezzo del deserto del Nevada, figli dei test nucleari degli umani. Poi furono cacciati dalle loro case da una specie aliena, i Dire Wraith. Si ribattezzarono ‘Esuli’, e vagarono alla ricerca di un nuovo nido. Fino ad arrivare qui.

Il loro era, inizialmente, un semplice insediamento, poco più di un accampamento fortificato, con poche decine di abitanti minacciati ogni giorno dall’estinzione. Ma hanno tenuto duro, hanno lottato, non hanno abbandonato la speranza.

E oggi, celebrano un nuovo passo verso il loro futuro.

 

 

MARVELIT presenta

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Episodio 5 – Rinascita

Di Valerio Pastore

 

 

L’occasione era duplice, e il villaggio di Narrada era in festa in pompa magna. A mezzanotte e un minuto, i pali dei fuochi delle postazioni di guardia erano stati sostituiti da enormi falò disposti per illuminare a giorno l’intero villaggio. Le musiche erano esplose, i canti riempivano l’aria per miglia. Basta con la segretezza, dicevano, basta con la paura, basta con la diffidenza. Tutti dovevano vedere, udire, celebrare insieme ai narradiani.

Oggi si schiudevano le prime due uova, oggi la prima nuova generazione vedeva la luce dopo le tante tragedie subite. E oggi gli ex-Esuli celebravano il ritorno di una coppia reale che li avrebbe guidati per gli anni a venire.

 

“Dimmi, sacerdote, dimmi che i gusci si romperanno senza complicazioni.” La femmina sauriana di nome C’rel faceva del suo meglio per mostrarsi controllata, mentre le ancelle dipingevano le pitture delle nozze. Non una sbavatura, portava male, e niente doveva rovinare quel giorno.

Il sauro dalle scaglie arancioni fece un rispettoso inchino. “Esse sono al sicuro, protette dai nostri migliori guerrieri, e dalla magia tecnologica dei nostri alleati. I pulcini vedranno la luce poche ore dopo la cerimonia nuziale, lo prometto nostra signora.”

“Non preoccuparti, mia amata,” disse il possente Khadar, facendo l’impossibile per non muovere un muscolo mentre a sua volta veniva dipinto. “Il fatto che oggi celebriamo con l’ospitalità non significa che la nostra guardia sia bassa. Hai fiducia in me?” Poi dovette tacere, quando i pennelli cominciarono a volare sul suo muso.

C’rel gli rispose solo con uno sguardo che diceva più di ogni parola. Forse era finito il tempo in cui lui era solo il campione al suo servizio, ma era ancora il capo dei guerrieri, lo stratega dedito senza eccezione alla salvaguardia della sua gente. Certo che lei aveva fiducia in lui, non poteva essere diversamente. Si fidava ciecamente di lui da molto prima che si innamorasse di lui.

Invidiava quelle femmine così fortunate da avere per prime le uova. Avrebbe voluto essere lei, ma al diavolo le tradizioni: dopo anni spesi all’ombra dell’estinzione, ogni goccia di nuovo sangue era preziosa come il dono più raro…

 

Meno allegri erano i pensieri di un’altra sauride, in piedi all’ingresso dell’edificio che ospitava la sala del trono. La femmina poteva avere aspetto e sangue rettiliano nelle vene, anche se a differenza degli altri indossava una specie di armatura leggera nera di avanzata tecnologia, ma era extraterrestre. Il suo nome era M’rynda, ed anche lei era stata un’esule, una straniera in terra straniera. Il suo mondo, Z’lyztaya, era stato distrutto quando lei era appena una neonata. Della sua famiglia, i soli scampati alla distruzione, erano rimasti solo lei ed il suo servo, il mezzosangue Zed che la seguiva come un’ombra.

M’rynda aveva una buona ragione per essere triste. Quel giorno così fausto per la gente che ora era la sua nuova comunità le ricordava la sua solitudine, la sua disperata necessità di un compagno perché la sua specie sopravvivesse. E il solo compatriota, Zed, era sterile, una conseguenza del suo DNA mammifero/rettiliano.

 “Mia signora..?” Zed le si avvicinò. “Tutto bene?”

“Dimmi che ogni sensore disponibile è perfettamente funzionante e attivo ventiquattro ore al giorno.”

“E’ così, mia… M’rynda.”

Lei gli accarezzò quel muso  corazzato ornato di una criniera bianca. “Le vecchie abitudini, eh?”

Lui brontolò, un verso che sarebbe potuto facilmente essere stato scambiato per minaccioso…

“E ora che succede?” chiese lei, voltando lo sguardo verso l’ingresso da cui veniva un vociare arrabbiato.

 

Sembrare ed essere minaccioso era la precisa funzione della nera sentinella corazzata di guardia ad uno dei due ingressi, quello che dava direttamente sulla giungla.

Il suo nome era un acronimo nella lingua di Z’lyztaya per ‘dispositivo per la difesa personale’, o BOB. Era la perfetta macchina da guerra, indistruttibile, inarrestabile, frutto maligno di una civiltà dedita alla conquista come propria ragion d’essere. Quella stessa civiltà che di Z’lyztaya aveva fatto scempio.

Bob era il primo e l’unico Annichilatore ad essere stato riprogrammato per servire una delle sue prede, e fino ad ora non aveva dato problemi.

I suoi ordini, per oggi, erano di fare passare solo coloro che fossero stati autorizzati esplicitamente da M’rynda, Zed, o da C’ryl e Khadar. E di neutralizzare con forza letale qualunque tentativo di aggressione.

La sola fortuna di quest’uomo biondo vestito solo di un perizoma di pelliccia, era di non rappresentare una minaccia immediata. Un suo attacco, o quello dell’animale quadrupede al suo fianco, o del gruppo di umanoidi dietro di loro, non avrebbe potuto danneggiare la sentinella disposta di fronte all’entrata, le possenti braccia incrociate al petto.

“Macchina, tu sai chi sono!” stava dicendo l’uomo. “E Ka-Zar non accetterà questo tuo assurdo atteggiamento di sfida un minuto di più! Siamo stati invitati…”

“Bob! Possono passare,” disse M’rynda. Il mostro nero si fece da parte con un solo fluido movimento.

“Ah, sono felice di vederti, ragazza,” disse il signore della Terra Selvaggia. “Ti porgiamo i nostri omaggi… Ma dove sono gli sposi? Pensavo che ci avrebbero ricevuto personalmente.” Si voltò ad indicare i rappresentanti di almeno una dozzina di tribù. Potevano essere umanoidi nella forma, ma le specie non potevano essere più esotiche per alcuni di loro: c’erano un uomo ed una donna di aspetto marcatamente più scimmiesco, un rettiliano che ricordava uno pteranodonte dal corpo tatuato, ed un felino dal pelo arancione e la folta criniera nerissima. “Gli ambasciatori delle Dodici Tribù di queste valli sono impazienti di potervi incontrare in questa festosa occasione.”

“E così sarà, amici miei,” disse in quel momento C’rel, emergendo da dietro la figura di Bob, seguita da Khadar. Entrambi erano ‘vestiti’ solo delle loro pitture. Si avvicinò alla coppia formata da Ka-Zar e sua moglie Shanna, e si fece loro un inchino seguito dal cenno del palmo sollevato. “Scusateci. I preparativi sono stati più lunghi del previsto. I vostri alloggi sono pronti, cibo e bevande vi ristoreranno del viaggio.” I suoi occhi si posarono a lungo sullo pteranodonte antropoide. “Spero di potere fare la sua conoscenza in modo più approfondito, ambasciatore..?”

“Kyssen, lady C’rel. Rappresento la Tribù del Mare dei Cieli. Anche noi desideriamo potervi conoscere bene. Siamo sicuri che potremo stabilire un proficuo rapporto…” fu interrotto da un potente ruggito. In tutto il villaggio, ogni attività si fermo. Un secondo dopo, ognuno andò alle proprie posizioni, pronto a tutto.

“Allarme!” ruggì Khadar, A M’rynda e gli altri disse, “Voi con me. Ka-zar, delegati, voi affidatevi a (ai) nostri  guerrieri per la vostra sicurezza.” E senza aspettare risposta, corse, affiancato da C’rel, in direzione del verso.

 

C’era un secondo ingresso, al villaggio. Dava direttamente sul fiume e costituiva la via commerciale di Narrada, oltre che il principale sito di pesca per i sauridi.

La creatura deputata alla sua difesa non era meno extraterrestre di Bob, ma veniva da un altro mondo, per la precisione da Tsilnyy. E non era un drone, ma una creatura pienamente senziente: il suo nome era impronunciabile, ma si faceva chiamare Magog, in onore al fratello scomparso tempo addietro, il potente Gog.

Questa femmina dai tratti sauriani e scimmieschi, vestita di un costume rosso, le braccia ornate da un paio di bande dorate, era per ora prigioniera di questo mondo. La sua nave giaceva in fondo alle paludi. Non aveva modo di contattare la sua gente, ma grazie all’aiuto del sauridi almeno non era più neppure prigioniera del suo guscio di stasi. Doveva la sua vita a questa gente e fino a quando non avesse trovato il modo di tornare a casa li avrebbe serviti con il massimo dell’impegno.

Non si aspettava problemi, e la vista della formazione di dinosauri volanti in rapido avvicinamento le causò sul momento un moto di curiosità. Inarcò un sopracciglio, mentre lo stormo si avvicinava, mantenendo una perfetta formazione…

Come ogni esploratore della sua specie, il suo corpo conteneva una serie di bio-innesti volti a potenziare i suoi sensi. Questi includevano una vista telescopica, capace di mettere a fuoco un granello di sabbia in una spiaggia a molti chilometri di distanza.

E quando vide meglio quegli pteranodonti, decise di lanciare il ruggito di allarme.

I difensori di Narrada giunsero entro un minuto dalla chiamata. Magog indicò lo stormo. “Quelle bestie sono cavalcature. Saranno qui entro sette minuti e quarantadue secondi. Non posso ancora determinare se si tratti di forze ostili.”

“Di sicuro non sono invitati,” sibilò Khadar. “Mia signora, dammi l’ordine di attacco!”

 “Non è una formazione di attacco,” disse Magog. “Scendono di quota. Si preparano ad atterrare. E sono comunque poco numerosi, e senza il fattore sorpresa, non costituiscono un pericolo.”

Come Magog aveva predetto, la formazione atterrò in perfetta sincronia sull’altra riva del fiume. Cinque pteranodonti, quattro dei quali disposti a croce intorno al quinto. Gli animali erano corazzati. Da ognuno di essi scese un sauro dalle scaglie verdi in armatura, che nelle mani stringeva una lancia dalla punta brillante di energia, mentre il pilota, che come il suo simile ricordava la versione antropoide di un velociraptor, attendeva sul collo sellato dell’animale.

Dal quinto dinosauro, camminando su dischi di luce solida, scese una creatura molto diversa dalle altre. Questo nuovo sauro avrebbe potuto facilmente misurarsi con Khadar. Indossava un’armatura color sangue e oro, con una stilizzata zampa rettiliana artigliata impressa sul petto. Nel braccio reggeva un elmo dotato di una lama affilata per cresta. Ampi speroni aguzzi decoravano polsi e caviglie. Sempre procedendo su quei dischi, attraversò il fiume e si fermò davanti ai due sposi. A quel punto, si produsse in un inchino. “Lady C’rel, lord Khadar, io vi saluto. Sono l’Alto Generale Takon, e vengo e parlo a nome del Sire Imperatore Go’ol degli Hauk’ka. Sua Maestà vi porge i propri sentiti omaggi per i lieti eventi di questo giorno. Nulla avete da temere.”

“Sua Maestà è invero cordiale,” rispose C’rel. “Ma non conosciamo ancora completamente i tanti popoli di questo mondo, incluso il vostro, temo.”

“Non sarebbe comunque una sorpresa, milady. Noi Hauk’ka siamo sempre stati…elusivi. Siamo fra i pochi depositari di una civiltà avanzata, e temiamo sempre di attirare le attenzioni meno gradite. A vostro modo, spero ci possiate capire.” E rifece l’inchino.

C’rel annuì. “Se la sua è una missione diplomatica, Generale, benvenuto a Narrada. Le dovrò quindi chiedere di varcare disarmato il nostro territorio.”

“Sono disarmato, come spero potrete verificare. Quanto alle mie guardie, sono solo una scorta formale e non è costretta a seguirmi.”

M’rynda passò rapidamente gli artigli sulla tastiera virtuale del suo bracciale. Annuì rapidamente alla leader dei sauridi. C’rel fece cenno al nuovo ospite di seguirla. Khadar si affiancò a Takon.

C’rel fece un cenno alla sua gente, e le feste ripresero. Parlando a voce più bassa, lei disse, “Da quanto tempo ci osservate, Generale?”

“Dal primo giorno in cui avete messo piede nella Terra Selvaggia. Diffidiamo degli stranieri, e dovevamo essere certi che non rappresentaste un pericolo.”

C’rel gli lanciò un’occhiata gelida. Lui la sostenne.

“Prima di oggi, la vostra tensione avrebbe potuto spingervi a male valutare le nostre intenzioni.”

“Che sarebbero..?”

“Un’alleanza. Sua Maestà sarà felice di accogliere una delegazione per discuterne i termini. Non intende mettervi pressione, potete decidere di venire quando volete. E questo,” mise mano alla cintura, scollegandone un sottile apparecchio ovoidale dal guscio di cristallo “vi servirà per mettervi in contatto con noi quando avrete preso tale decisione.” Fece per porgerlo a C’rel, ma Bob lo afferrò. Il drone studiò l’oggetto nella propria mano, prima di decidere che non rappresentava un pericolo. E lo diede a C’rel.

“Accetto volentieri, Generale Takon. Si senta libero di assistere ai festeggiamenti, oppure riferisca all’Imperatore Go’ol che presto mi metterò in contatto con lui.”

Di nuovo il sauride si profuse in un inchino, poi si rimise l’elmo. “Temo che dovrò scegliere la seconda. Il mio Signore mi ha inviato qui solo per questo colloquio e per comunicargli immediatamente la sua risposta.” Scortato da Bob, tornò da dove era venuto.

“Hai visto tutto?” chiese C’rel, senza voltarsi. Ka-Zar uscì da dietro una delle case.

“Visto e sentito tutto, milady. La sua gente deve essere davvero elusiva come dice, se neppure io ne ho mai sentito parlare, e questa terra la conosco bene.”

“Se dovessi giudicare qualcuno da una pura sensazione?”

“La sua bocca parlava di alleanza. I suoi occhi parlavano di morte. Se fosse rimasto, sarei stato tentato di ucciderlo.”

“Allora organizzerò una delegazione. Khadar,” prese le mani del guerriero fra le proprie, “scegli due dei nostri migliori guerrieri. Che siano possibili amici o nemici, è opportuno osservare il nido in cui vivono, come loro hanno fatto con noi. E ora, riprendiamo i festeggiamenti. Le nostre nozze non attenderanno ol…”

“Nostra Signora!” come sempre, il sauro di nome Sai, sembrò quasi apparire dal nulla tale era la sua velocità. “Sta succedendo! E’ l’ora.”

E di nuovo il villaggio intero piombò rapidamente in un silenzio sepolcrale.

 

L’edificio era il più ampio ed il più fortificato del villaggio. Si componeva di due piani: la sala alta, al piano superiore, dove i reggenti tenevano la sala del trono e del consiglio. La sala bassa, al piano terra, era adibita ai ricevimenti e all’intrattenimento.

E un livello sotterraneo, un piccolo capolavoro di ingegneria studiato per fare da incubatrice. Era quello il vero cuore di Narrada, ed era lì che almeno sette guerrieri erano costantemente di guardia al più prezioso dei tesori.

Tesori che stavano per schiudersi.

Nonostante la sua autorità, C’rel dovette quasi spintonare fra la folla che si era accalcata nella sala bassa. Khadar dovette quasi prendere a morsi i curiosi. Tutti quelli che potevano si erano riversati lì dentro.

“M’rynda, Zed,” disse la leader, “Voi due potete venire. Anche tu, Ka-Zar, e gli ambasciatori.” Magog e Bob dovranno restare fuori, per la difesa.” Poi attraversò l’ingresso all’incubatrice.

“E’ un grande onore,” disse Khadar. “Siatene degni.”

“Sono sicura che ne sono consapevoli, mio amato. Ora venite.” E dopo i due ospiti alieni, entrarono i sauri, in fila disciplinata, silenziosi, frementi.

 

“Nostra signora.” Le due femmine a stento levarono lo sguardo dalle uova. M’rynda rimase sorpresa dalle loro dimensioni. Questa era la prima volta che le era stato concesso di vederle, e non immaginava che fosse possibile partorire simili mostri…

“Crescono durante l’incubazione,” disse C’rel. “All’inizio, sono piccole e pesanti, ricche di calcio e di elementi nutritivi. Mano mano che crescono, diventano anche più fragili…” le lacrime cominciarono a scorrere lungo il suo muso. E non solo il suo. “Poi il nutrimento finisce, e…il piccolo rompe il guscio…”

Il guscio si era fatto decisamente elastico, mentre la creatura al suo interno faceva forza, deformandolo, rendendo l’uovo simile ad un cuore pulsante.

“E’ il primo test della loro forza. Se ci mettono poco, saranno dei guerrieri,” disse Khadar. E come se lo avessero sentito, i piccoli ruppero l’involucro in quel momento. Nacquero perfettamente formati, di un acceso color rosso, gli occhi d’oro spalancati. E affamati.

M’rynda, vivendo a contatto con gli umani per la maggior parte della sua vita, si era attesa un’esplosione di gioia collettiva. Invece, perdurò quel silenzio innaturale, spezzato solo dai respiri e dal fremere di code, mentre le madri afferravano la loro prole per poi riversare un liquido lattiginoso dalle proprie bocche in quelle dei neonati affamati.

C’rel prese saldamente una mano di Khadar fra le proprie, senza voltarsi, senza smettere di fissare quello spettacolo come ipnotizzata. “Khadar. Davanti a queste nuove vite, prometto a te come al popolo mio tutto di essere tua sposa in corpo come in spirito. Per loro e per noi combatterò senza requie. Per loro e per noi, garantirò il futuro e la speranza. Così giuro sul nuovo sangue.”

Lui aggiunse la propria mano sopra quelle di lei. Se c’era un momento in cui avrebbe potuto svenire per la gioia, era quello. Ripeté per filo e per segno il giuramento.

Il sacerdote si avvicinò ai piccoli, sazi e addormentati. Con un cristallo affilato, praticò una leggera incisione sulle loro braccia, quel tanto che bastava per tingere la lama trasparente. I piccoli reagirono con una specie di miagolio, ma proseguirono nel loro sonno.

Il sacerdote porse la lama insanguinata a C’rel, che la leccò. Poi toccò a Khadar di fare lo stesso. Ora il giuramento era completo.

Ora, c’era davvero una speranza per il domani…